Mi manca quel tempo in cui fotografavo i fiori. Fiori selvaggi aggrappati alle rocce dolomitiche, vincolati a un terreno d’erba verde da esili fili, grappoli gialli e bianchi nella lentezza di un paesaggio montano. 

Mi manca il suono del vento alto e potente, libero di una libertà che si ha solo su una cima, un’ aria immacolata che spazza via i trilli dei telefoni, i ronzii, le voci umane cariche di domande. Un’aria che smuove capelli e corolle, e li fa agitare in danze immaginarie.

Mi manca la luce di quel sole allo zenit che lecca la testa, il viso, la schiena senza fare troppo male.

Quelle lente e faticose passeggiate nei boschi luminosi, infinite, in un giorno infinito, ora sembrano fulminee, mi diventano ogni giorno più care. 

Com’è facile progredire con l’immaginazione… com’è naturale, ogni giorno, auspicare a nuove necessità.

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"Le cose sono unite da legami invisibili. Non puoi cogliere un fiore senza disturbare una stella."

G. Galilei

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Ma sono felice anche di queste ore tutte uguali, della fretta o della noia, affacciata a un balcone mentre il sole di città rischiara, da dietro, i palazzi. Un chiarore albugineo si dispone attorno ai profili squadrati e li rende evanescenti.

Non ho mai vissuto così volentieri. Mai ho sentito salirmi prepotente il desiderio di ricordare i fiori selvaggi che ondeggiano nei prati di Lappago.

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